Temi trattati / 27 Dicembre 2017

Il cantiere condiviso, come mai?

Tra le diverse tematiche che hanno segnato questa esperienza val la pena approfondire quella del CANTIERE CONDIVISO.

Quello del cantiere è un ambito di norma poco conosciuto ai non addetti ai lavori. Eppure la manutenzione della casa (e finanche la sua costruzione) è un’attività che riguarda l’uomo da sempre.

Oggi, con l’avvento dell’economia basata sulla produzione di massa e sui servizi, in pochi hanno ancora il tempo, le energie (e a volte le capacità) per risolvere in autonomia i problemi dello spazio, dell’ambiente di vita e quindi anche della casa.

Hassan Fathy, un architetto e urbanista egiziano che ci piace molto, e i cui studi abbiamo conosciuto durante questo percorso, dopo aver osservato le comunità rurali in Africa negli anni ’70 scriveva: “Un uomo che acquisisce la solida maestria di un mestiere cresce in autostima e struttura morale. Quando i contadini costruiscono da sé il proprio villaggio, la trasformazione che ciò produce nelle loro personalità è ancora più importante che la trasformazione delle loro condizioni materiali“. Infatti, il fatto di essere capaci di procurarsi con le proprie mani quanto necessario per vivere (la casa, il cibo, i mezzi di difesa, ecc..), è molto rassicurante, e aiuta a sopperire ai disagi derivanti dalla privazione di risorse.

Inoltre, nel caso del carcere, dove si è soggetti alla privazione della libertà, abbattere muri scomodi e ricostruirli come più ci conviene, significa ritrovare un pezzetto di libertà. Può sembrare banale ma ne parlano in molti, e soprattutto Enzo Mari, un designer italiano che col suo lavoro ha lasciato un segno profondo, ci dice: “Sono convinto che il progettare corrisponda a una pulsione profonda dell’uomo, come l’istinto di sopravvivenza, la fame, il sesso. Siamo una specie che vuole modificare il suo ambiente”

La comunità del carcere, nonostante la carenza di risorse materiali è in realtà ricca di risorse immateriali. Queste risorse consistono soprattutto nelle CAPACITA’ delle persone. Per questo la cooperativa Altracittà ha immaginato la riqualificazione dei suoi laboratori come un’esperienza corale, che oltre a vedere la partecipazione di tutti nel progetto, va oltre, e diventa un’esperienza di CANTIERE CONDIVISO, dove tutti, ma proprio tutti, sono stati chiamati a dare un contributo.

(per chi volesse approfondire l’argomento, consigliamo un bellissimo libro curato da Giacomo Borella: Colin Ward, L’architettura del dissenso, Elèuthera, 2016)

Valeria Bruni